La disciplina delle vendite a distanza di beni, di cui all’articolo 41, comma 1, lett. b), D.L. 331/1993, che prevede la non imponibilità ai fini Iva in Italia (quale cessione assimilata alle cessioni intracomunitarie) non può applicarsi per le vendite a distanza di beni a favore di soggetti passivi Ue non iscritti al Vies.
L’assenza di tale iscrizione, infatti, non può far assumere al cessionario soggetto Iva in altro Stato Ue lo status di “consumer”, con conseguente necessità di applicare l’imposta in Italia.
La conclusione emerge dalla lettura della risposta ad istanza di interpello n. 230 del 1° marzo scorso, in cui l’Agenzia delle entrate ha risposto ad un’istanza di interpello presentata da una società italiana che effettua cessioni di beni nei confronti di soggetti residenti in altri Stati della Ue.
La questione affrontata risiede nella valenza sostanziale dell’iscrizione al Vies quale condizione per l’applicazione del regime di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie di beni mobili materiali nei confronti di soggetti passivi in altri Stati Ue (unitamente agli altri requisiti richiesti dall’articolo 41 D.L. 331/1993).
La condizione di iscrizione al Vies, per effetto dell’articolo 41, comma 2-ter, D.L. 331/1993 (inserito in attuazione dell’articolo 138 della Direttiva Iva), ha assunto un effetto sostanziale per poter qualificare la cessione intracomunitaria quale operazione non imponibile ai fini Iva in Italia.
Qualora il cessionario comunitario non comunichi al fornitore il numero di identificazione valido di iscrizione alla banca dati Vies, al momento della cessione il fornitore non può applicare il regime della non imponibilità, ma deve assoggettare la cessione con l’imposta propria nello Stato membro di partenza (Iva nel caso in cui il fornitore sia un soggetto Iva in Italia).È opportuno sottolineare che la valenza sostanziale dell’iscrizione al Vies assume rilievo solamente per le cessioni intracomunitarie a favore di cessionari soggetti passivi d’imposta, e non anche per quelle “assimilate” di cui all’articolo 41, lett. b), D.L. 331/1993 che disciplina le cd. “vendite a distanza”.
Queste ultime cessioni sono rilevanti ai fini Iva nel Paese Ue in cui è stabilito il cliente “consumer” e possono essere gestite con due modalità differenti da parte del fornitore nazionale: identificandosi ai fini Iva nei singoli Paesi comunitari in cui sono destinati i beni oggetto delle vendite a distanza ed in cui è stabilito il cessionario privato, ovvero tramite lo sportello OSS con il quale è possibile liquidare l’imposta dovuta nei singoli Stati membri in Italia.
La territorialità delle vendite a distanza non muta in relazione alla modalità con cui si sceglie di gestire l’Iva dovuta nei singoli Stati membri in cui i beni sono spediti a favore di cessionari privati, ma certamente il sistema OSS ha il privilegio di evitare al soggetto nazionale di doversi identificare nei diversi Stati Ue.Le cessioni in questione, infatti, pur qualificate come assimilate alle cessioni intracomunitarie non imponibili, hanno la caratteristica che il cessionario destinatario dei beni spediti dal fornitore sia un soggetto “consumer” (in tal senso si veda l’articolo 38-bis D.L. 331/1993).
Laddove il cessionario non sia iscritto al Vies, ma abbia comunque la qualifica di soggetto Iva nel Paese comunitario in cui è stabilito, la disciplina delle vendite a distanza non può trovare applicazione, con la conseguenza che la cessione dei beni deve essere assoggettata ad imposta nello Stato membro di partenza.
La conclusione sui perviene l’Agenzia è corretta e trova la sua giustificazione nel contenuto del citato articolo 38-bis D.L. 331/1993 che non consente di applicare il regime Iva delle vendite a distanza quando il cessionario è un soggetto d’imposta (salvi alcuni casi particolari che non assumono rilievo).