Rinuncia all’eredità: gli effetti sui debiti tributari del de cuius

La responsabilità degli eredi per i debiti tributari del de cuius presuppone l’assunzione della qualità di erede e, quindi, l’accettazione anche tacita dell’eredità da parte dei soggetti chiamati per legge o per testamento all’eredità.

Pertanto, il chiamato all’eredità che abbia validamente rinunciato all’eredità, tenuto conto dell’effetto retroattivo che la dichiarazione di rinuncia possiede ai sensi dell’articolo 521 cod. civ., non può essere chiamato a rispondere del debito tributario del de cuius, neppure nel caso in cui tale debito risulti da un avviso di accertamento notificato al chiamato all’eredità dopo l’apertura della successione e divenuto definitivo per mancata impugnazione da parte dello stesso chiamato all’eredità.

Questo è il principio che è stato affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 37064/2022.

Nell’ordinamento vigente l’apertura della successione non comporta l’acquisto della qualità di erede in favore dei successibili ex lege o ex testamento, ma soltanto l’acquisto della qualità di chiamato all’eredità: soltanto ove avvenga l’accettazione, anche tacita, il chiamato si considera erede (Cass. Civ., Sez. V, sentenza n. 11832/2022).

Da ciò consegue che, nell’ipotesi in cui l’Agenzia delle Entrate agisca nei confronti del preteso erede per debiti tributari del de cuius, incombe sulla stessa, in applicazione del principio generale di cui all’articolo 2697 cod. civ., l’onere di provare l’assunzione da parte del contribuente nei confronti del quale ha agito della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto alla riscossione dei debiti tributari del de cuius nei confronti del soggetto accertato nella predetta qualità di erede (Cass. Civ., Sez. V, sentenza n. 9186/2022).

Peraltro, deve essere considerato che, in base all’articolo 521 cod. civ., “chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”; con la conseguenza che, per effetto della rinuncia, viene impedita retroattivamente – cioè a far data dall’apertura della successione (articolo 456 cod. civ.) – l’assunzione di responsabilità per i debiti facenti parte del compendio ereditario.

Pertanto, appare evidente che condizione imprescindibile affinché possa sostenersi l’obbligazione del chiamato all’eredità a rispondere dei debiti ereditari è che questi abbia accettato (e, quindi, acquistato) l’eredità (Cass. Civ., Sez. V, sentenza n. 13639/2018; Cass. Civ., Sez. V, sentenza n. 24317/2020).

Infatti, il chiamato all’eredità, che abbia ad essa rinunciato, non si può considerare erede, neppure per l’arco temporale intercorrente tra l’apertura della successione e la rinuncia: la rinuncia ha effetto retroattivo ai sensi dell’articolo 521 cod. civ. e, pertanto, colui che dichiara validamente di voler rinunziare all’eredità viene considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili.

Inoltre, chiarisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 37064/2022, non è possibile sostenere che la notifica di un avviso di accertamento al chiamato all’eredità, che, non avendo ancora accettato l’eredità, è ancora legittimato a rinunciarvi, possa avere l’effetto di precludergli questa possibilità che gli è riconosciuta direttamente dalla legge.

La notifica dell’avviso di accertamento costituisce pur sempre un provvedimento amministrativo, di per sé non idoneo ad incidere sul presupposto impositivo, che quindi non può acquistare il valore vincolante tipico della definitività nei confronti di un soggetto, solo potenzialmente legittimato passivo dell’imposta, nel momento in cui venga accertato che tale potenzialità sia rimasta tale ed anzi sia definitivamente venuta meno.

Del resto, è necessario evidenziare che l’Amministrazione finanziaria non è priva degli strumenti volti a fronteggiare l’incertezza nella realizzazione della pretesa impositiva derivante dal protratto stato di delazione ereditaria, spettando ad essa, come a tutti i creditori ereditari, la potestà di far fissare ai chiamati all’eredità un termine per l’accettazione (articolo 481 cod. civ.) ovvero di far nominare un curatore dell’eredità giacente (articolo 528 cod. civ.).

Così come spetta alla stessa Amministrazione, una volta intervenuta la rinuncia, il diritto di eventualmente impugnarla in presenza dei presupposti ex articolo 524 cod. civ..

Pertanto, l’avviso di accertamento notificato ai chiamati all’eredità che hanno rinunciato alla stessa eredità, quand’anche non impugnato nei termini e divenuto definitivo, non può giustificare alcuna azione di riscossione nei confronti dei chiamati all’eredità,  in quanto l’intervenuta rinuncia ha impedito all’avviso di accertamento in questione di assumere definitività ed efficacia preclusiva sul punto specifico della riferibilità soggettiva dei debiti tributari del de cuius ai chiamati rinuncianti e, per ciò solo, della loro legittimazione passiva in veste di successori a titolo universale.

Riferibilità soggettiva e legittimazione passiva che, appunto, non possono discendere che dal conseguimento della qualità di eredi (per effetto dell’accettazione dell’eredità).

È, quindi, legittima l’impugnazione della cartella da parte dei chiamati all’eredità loro notificata sulla base di un avviso di accertamento, per far valere l’insussistenza della propria responsabilità tributaria per i debiti del de cuius in quanto rinuncianti all’eredità da questi dismessa.

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