Bitcoin, nuove indicazioni fiscali da parte del Fisco Italiano

Cambio di rotta sulle criptovalute, assimilate ora a valute estere depositate, i cui capital gain sono tassati in caso di giacenza superiore a 51.645,69 euro per 7 giorni.

I bitcoin e le altre criptovalute basate sul principio del block chain sono uno strumento ormai popolare, se non altro per i repentini cambiamenti di valore che hanno decretato l’improvvisa fortuna di alcuni e la disgrazia di altri.

Il bitcoin è uno strumento di pagamento accettato su base volontaria ma anche uno strumento di investimento. Come tutti gli strumenti di investimento, può procurare capital gain (utili) o perdite. La cosa interessante è che, sulla base di una lettura dell’unica posizione ufficiale dell’Agenzia (risoluzione 2.09.2016 n. 72/E) e di una serie di pareri non pubblicati delle varie Direzioni Regionali, si stava facendo avanti l’idea che i capital gain fossero esentasse.

Nella risoluzione n. 72/E/2016, infatti, si legge testualmente (ma incidentalmente) che “le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa”. Esenzione che terminerebbe, comunque, se i bitcoin fossero ceduti a termine o utilizzati come nozionale di contratti derivati. Insomma, secondo l’interpretazione del 2016 i bitcoin sono assimilati a una valuta estera. Come tassarli? L’attuale impianto normativo prevede la tassazione esclusivamente delle plusvalenze su valute estere rivenienti da un deposito, peraltro solo se la giacenza media supera € 51.645,69 per sette giorni lavorativi. La soluzione adottata adesso dall’Agenzia in punta di ragionamento è molto semplice, anche se presta il fianco a numerose critiche. Di fatto, con l’interpello 956-39/2018 l’Agenzia raddrizza la barra, precisando che nei precedenti interpelli era stato omesso l’importo detenuto in bitcoin.

Secondo le nuove indicazioni, si applicherebbe alla fattispecie l’art. 67, c. 1, lett. c-ter e c. 1-ter Tuir. Ciò comporta che, se la giacenza media sui vari wallet supera € 51.645,69 per sette giorni lavorativi, le plusvalenze su valute sono tassate non solo nelle operazioni a termine, ma anche in quelle a pronti.

La forzatura è evidente. L’Agenzia ha assimilato il wallet al deposito bancario al fine di applicare la norma fiscale. Ma la tesi appare subito debole: difficile confondere lo strumento del wallet con il deposito bancario. In effetti, il wallet non è un contenitore di bitcoin, ma uno strumento informatico con tutt’altre caratteristiche. Inoltre l’Agenzia ha assimilato il bitcoin a una valuta estera. Altro elemento fragile, perché il bitcoin circola esclusivamente sulla base della fiducia che i privati ripongono nello strumento, mentre le valute estere rappresentano crediti nei confronti di un emittente.

Dato che, secondo l’Agenzia, le valute virtuali corrispondono a valute estere, si capisce perché si pretenda l’indicazione nel Quadro Rw, anche se le valute sono detenute in Italia. Qui l’Agenzia richiama le istruzioni contenute al par. 1.3.1 della Circ. 38/2013 nella quale si prevedeva la compilazione del Quadro Rw anche per le “attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti”. Andrebbe però chiarito come esporre questa informazione nel Quadro Rw.

Per concludere, l’Agenzia concede che alle valute virtuali non si applichi l’Ivafe perché i wallet non hanno natura bancaria.

 

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