Dichiarazione dei redditi per il cittadino italiano residente all’estero

Il cittadino italiano che vive e lavora all’estero deve prestare attenzione alla dichiarazione dei redditi in quanto potrebbe essere tenuto a dichiarare in Italia i redditi conseguiti nel Paese estero.

Un elemento fondamentale da prendere in considerazione, secondo quanto previsto dall’articolo 2 Tuir, è quello della “residenza fiscale”.

Infatti, la disposizione citata stabilisce che una persona fisica si considera fiscalmente residente in Italia in presenza di tre condizioni alternative: se è iscritta nella anagrafe della popolazione residente per almeno 183 giorni all’anno oppure ha il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato.

Dunque, è sufficiente la sussistenza di uno solo dei requisiti sopra indicati affinché una persona fisica venga considerata fiscalmente residente in Italia (cfr., Corte di Cassazione, sentenza n. 19484 del 30.09.2016).

Inoltre, la medesima norma prevede che si considerano altresì residenti In Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

L’individuazione della residenza fiscale è molto importante in quanto, ai sensi del successivo articolo 3, l’imposta sul reddito delle persone fisiche (c.d. Irpef) si applica sul reddito complessivo del soggetto, che è formato, per i residenti, da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili e, per i non residenti, soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato. Ciò significa che in base a quanto sopra esposto, se una persona fisica risulta essere fiscalmente residente in Italia, essa sarà tenuta a dichiarare nel nostro Paese tutti i redditi conseguiti, sia quelli prodotti all’estero (per esempio, il reddito da lavoro dipendente) sia quelli prodotti in Italia.

Diversamente, se la persona fisica non risulta essere fiscalmente residente in Italia, perché ha provveduto alla cancellazione dalla anagrafe della popolazione residente e risulta iscritta all’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero (AIRE) per la maggior parte dell’anno (quindi per almeno 183 giorni), dovrà dichiarare in Italia solo i redditi ivi percepiti.

Infatti, i cittadini italiani che si trasferiscono all’estero, entro 90 giorni dal trasferimento, devono provvedere all’iscrizione all’AIRE presso l’Ufficio consolare di riferimento, la quale comporta la cancellazione dall’Anagrafe del Comune italiano di provenienza.

Qualora il contribuente, anche se trasferito all’estero, sia da considerarsi fiscalmente residente in Italia (ad esempio, perché risulta essere iscritto all’AIRE per meno di 183 giorni all’anno oppure perché ha mantenuto in Italia il suo domicilio), dovrà provvedere a dichiarare il reddito estero percepito attraverso il modello per la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche nel nostro Paese e pagare anche qui le imposte.

La giurisprudenza di legittimità è concorde nell’affermare che, “ai sensi del combinato disposto degli articoli 2 Tuir e 43 cod. civ., deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi ed a prescindere dalla sua iscrizione all’AIRE” (cfr., Corte di Cassazione, sentenza n. 29365 dell’11.10.2022). Da ultimo occorre precisare che è molto importante verificare anche cosa prevedono le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia e dal Paese estero, dal momento che il diritto di assoggettare a tassazione il reddito percepito potrebbe essere limitato solo all’Italia oppure esclusivamente al Paese estero oppure essere esteso ad entrambi.

Ad esempio, nel caso di redditi da lavoro dipendente prestato in Svizzera da cittadini italiani iscritti all’AIRE, dipendenti dell’ente Ferrovie dello Stato (successivamente Trenitalia S.p.A.), è stato precisato che essi sono soggetti ad Irpef in Italia in virtù dell’articolo 19 Convenzione italo-svizzera, atteso che “la norma pattizia, prevalendo sulle disposizioni di diritto internazionale interno di cui al D.P.R. 917/1986, individua alcune ‘remunerazioni’ che restano imponibili, in regime di reciprocità, nello Stato da dove provengono, se pagate da uno degli Stati contraenti o anche da enti autonomi di diritto pubblico, fra cui sono specificamente indicate le Ferrovie dello Stato, successivamente trasformatesi in Trenitalia s.p.a., senza che tale modifica possa incidere sul regime fiscale” (cfr.,Corte di Cassazione, sentenza n. 2912 del 13.02.2015).

Da ultimo si rileva che, qualora la convenzione preveda una tassazione estesa ad entrambi gli Stati, generalmente, al fine di evitare al contribuente una doppia tassazione (sia nel Paese estero in cui il reddito è stato conseguito sia in Italia), è previsto il riconoscimento di un credito per le imposte versate all’estero.

In particolare, tale meccanismo consente, alla persona fisica che abbia già subito una tassazione definitiva nel Paese estero nel momento in cui ha percepito il reddito, di godere in sede di dichiarazione dei redditi in Italia di un credito d’imposta al fine di “recuperare” le imposte pagate all’estero.

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