FINANZIAMENTI INFRUTTIFERI SOGGETTI ALL’ENUNCIAZIONE

La Corte di Cassazione, con la sentenza 9.11.2023, n. 31174, ha ribadito l’idoneità di un verbale assembleare a fungere da supporto documentale di enunciazione ai fini dell’imposta di registro dei precedenti finanziamenti fatti dai soci a favore della società partecipata con l’insorgenza del corrispondente obbligo impositivo nella misura proporzionale del 3%.


Tale indirizzo giurisprudenziale non trova consenso da parte sia della dottrina, sia del Consiglio Notarile di Milano (massima n. 45) che ritengono invece non sussistano i presupposti strutturali della fattispecie dell’enunciazione come contemplati all’art. 22 D.P.R. 131/1986 per il quale testualmente: “Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate”.
Nella sussistenza di tali presupposti il principio dell’enunciazione esercita una sorta di forza espansiva in virtù della quale quando l’atto enunciante fa riferimento a un altro atto non registrato (il cd. atto enunciato) opera l’obbligo della registrazione anche di quest’ultimo.

Tuttavia, per il Consiglio Notarile di Milano (massima n. 45) il verbale dell’assemblea sociale si configura come un mero resoconto degli accadimenti assembleari da concepirsi come un atto “senza parti”. Specificamente per il Notariato di Milano: “Non possono considerarsi parti né il presidente dell’assemblea il quale ha solo la funzione di dirigere i lavori assembleari senza disporre del contenuto della stessa, né la società la quale di regola durante l’adunanza non rende alcuna dichiarazione negoziale attraverso i suoi legali rappresentanti, né gli altri partecipanti all’assemblea (soci, amministratori, sindaci) i quali esercitano solamente le prerogative loro concesse dalla legge senza interagire con il verbalizzante”.
La citata Corte di Cassazione, contrariamente alla prevalente ermeneutica dottrinale, ha ritenuto invece che la presenza dei soci in assemblea riveli giuridicamente anche la loro qualità individuale di “parte” degli atti enunciati e risulta altresì rinvenibile lo scopo antievasivo legislativamente perseguito con l’art. 22 del Tur, ritenendosi manifesto l’indice di capacità contributiva sotteso al finanziamento sociale.

Tale indirizzo interpretativo del giudice di Cassazione rende insidiosi i finanziamenti infruttiferi alle società partecipate, in quanto soggetti al rischio dell’enunciazione ai fini dell’imposta di registro e alla tassazione proporzionale del 3%. Appare utile, quindi, verificare soluzioni alternative di sussidio finanziario alla partecipata che però non compromettano il diritto restitutorio del socio che soccorre finanziariamente la società.
A tale proposito appare utile il ricorso alle cd. riserve targate, ormai pacificamente ammesse dalla dottrina contabile e dalla giurisprudenza, che interdicono l’espansione del diritto economico che ordinariamente deriva dalla quota di titolarità del capitale sociale di ogni singolo socio anche a tutte le altre cd. frazioni ideali del patrimonio netto. In altri termini, trattasi di riserve che raccordano un diritto restitutorio nominalistico al solo socio che ha individualmente rafforzato il patrimonio sociale, senza alcuna condivisione con gli altri soci.
La riserva targata (intestata cioè al socio che esegue l’apporto) costituisce una risorsa di capitale proprio della partecipata, ma personalizzata nel senso che rimane di esclusiva pertinenza del socio che ha effettuato l’apporto (Cassazione, sentenza 24.07.2007, n. 16393; in dottrina, tra gli altri, P. Manzoni, “Il patrimonio netto nelle società ordinarie e bancarie e i principi contabili”, Università degli studi di Milano, Giuffrè Editore).

La targatura della risorsa risponde proprio all’esigenza del socio di vantare un regime di preferenza nella restituzione del patrimonio sociale, senza subire la condivisione frazionale ordinariamente incentrata sulla titolarità del capitale sociale. Tali riserve consentono di surrogare nelle funzioni i finanziamenti infruttiferi sotto il profilo del personale diritto dei soci a riappropriarsi delle somme conferite in società a titolo di ulteriore ausilio patrimoniale per il perseguimento degli intenti statutari, senza però scontare l’insidia dell’enunciazione ai fini dell’imposta proporzionale di registro.

In ordine ai vincoli di permanenza in società tali versamenti in conto apporto dei soci sono del tutto accomunabili ai finanziamenti ex art. 2467 c.c. per i quali è previsto il diritto di restituzione postergato al pagamento di tutti i debiti sociali. In altri termini, poiché i finanziamenti infruttiferi costituiscono ordinariamente delle forme di ausilio finanziario occasionati non da mere temporanee deficienze di cassa, ma, piuttosto, da circostanze di sottocapitalizzazione del patrimonio sociale o di sopravvenuto eccessivo squilibrio tra mezzi propri e mezzi di terzi, essi subiscono gli stessi vincoli di immobilismo delle risorse proprie della società.
Per entrambi quindi (versamenti conto apporto targati e finanziamenti infruttiferi) la restituzione è condizionata dall’integrale recupero della condizione di solvenza della società verso i terzi, primariamente tutelati nei loro diritti di credito.

In conclusione, tali apporti targati (contrassegnati da una nomenclatura contabile del tipo “Riserva c/apporto socio Mario Rossi”) sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa (200 euro) e rappresentano una vantaggiosa alternativa ai finanziamenti infruttiferi in quanto consentono:

  • al socio conferente di continuare a vantare del diritto personale di restituzione;
  • fiscalmente di evitare l’insidia della enunciazione cui sono sottoposti invece i finanziamenti infruttiferi e di partecipare altresì al vantaggio fiscale dell’Ace.

 

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